A proposito di distruzione e di conservazione venosa

In ambito medico la conservazione e ancor più la restaurazione delle strutture anatomiche, quando danneggiate, costituiscono l’approccio migliore alla tutela di un patrimonio che la natura ci ha fornito ( e la recentissima Medicina Rigenerativa – basata sulla attivazione delle cellule staminali presenti nei nostri tessuti – ne  è la massima espressione ) .

Mirabile è lo sforzo realizzato in Medicina da coloro che si prodigano in tal senso ed in ambito odontoiatrico evidentemente l’avvento della Endodonzia ( la cura dei denti malati ) ha evitato inutili asportazioni dentarie cui doveva fare seguito la sostituzione con protesi dentarie ( fisse o mobili ).

Purtroppo però accanto a chi si prodiga per mantenere il nostro patrimonio venoso con tecnica chirurgica conservativa ( Metodica C.H.I.V.A  ideata già 25 anni fa dal Prof. Claude Franceschi )  troviamo altri che imitano e realizzano metodiche flebologiche conservative ma non drenanti : sono tentativi di conservare strutture ma che non funzionano . Infatti  danneggiare termicamente ( con laser o radiofrequenza o criocongelazione ) o chimicamente ( scleroterapia anche con mousse = schiume ) una safena equivale in sostanza ad asportarla chirurgicamente come si è sempre fatto dalla notte dei tempi ( stripping safenico ) , anche se in modo meno traumatico.

Pertanto sarebbe opportuno venire correttamente informati dal medico,  quando viene proposto un atto terapeutico distruttivo per  cura della malattia varicosa , dell’esistenza di altre pratiche chirurgiche rispettose e conservative delle strutture venose,  poco invasive. Nella metodica CHIVA infatti si ottiene nel tempo una riduzione del calibro della vena precedentemente dilatata ma conservata ed  istologicamente un aumento delle miocellule della parete venosa ( vogliamo impropriamente definirla rivitalizzazione ? ).

Più recentemente è stato proposto un trattamento chirurgico solo delle collaterali varicose ( ASVAL ) , senza considerare il flusso normodiretto o retrogrado safenico quindi in sostanza una ripresa in veste moderna della più vecchia pratica di sclerosare od asportare con flebectomia le collaterali safeniche visibili , ma senza affrontare invece il vero problema patogenetico del reflusso safenico ostiale. Certamente la diagnosi di continenza della valvola terminale rende sufficienti tale procedure che divengono invece non adeguate e non sufficienti  in presenza di reflusso safenico ostiale che dovrà comunque essere trattato.

Nonostante le passate ed infruttuose esperienze di valvuloplastica esterna ed interna sul sistema venoso superficiale,  taluno ancora oggi riprende in considerazione l’utilizzo di dispositivi atti a far contenere le valvole safeniche , ma siamo ancora in fase prettamente sperimentale e privi di risultati di trials clinici.

Per quanto poi concerne la  rivitalizzazione delle vene ( TRAP ) con iniezione di mix di farmaci dentro le stesse , ricordo che non esiste la possibilità istologicamente documentata di rigenerare la parete venosa iniettando sostanze di varia natura all’interno del vaso:  tutto ciò che ne deriva è un risultato effimero e temporaneo, non validato da studi clinici e non può essere definito RIGENERAZIONE.

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