Le varici costituiscono una patologia ereditaria piuttosto frequente nella cui insorgenza, alla predisposizione costituzionale si associano vari fattori ambientali ( età, professione, sovrappeso, gravidanza, abbigliamento troppo stretto ecc.). Si tratta di una affezione più frequente nel sesso femminile che nelle forme più lievi può presentarsi con una modesta sintomatologia o addirittura un solo rilievo estetico, ma nelle forme più gravi o inveterate può portare a lesioni più importanti come le varicoflebiti, i flebolinfedemi, le ipodermiti e le ulcere flebostatiche su cui possono attecchire infezioni da germi Gram positivi con sviluppo di erisipela.
Si può sicuramente affermare che non esiste un solo trattamento valido indifferentemente per tutti i pazienti varicosi, come potrebbe invece essere per patologie come l’appendicite acuta ed il relativo trattamento chirurgico (appendicectomia) e che una condotta chirurgica standardizzata, ridotta allo stripping delle safene e di alcune loro collaterali, non può che condurre a risultati non soddisfacenti a distanza.
In effetti la varicosi presenta una sua naturale evoluzione in senso peggiorativo per cui il quadro clinico si modifica nello stesso paziente nel corso degli anni.
“Sono abituato pertanto a proporre al paziente un trattamento solo dopo aver eseguito un accurato studio emodinamico e cartografico del circolo venoso, utilizzando un esame alquanto diffuso (eco-color-doppler venoso) eseguito però con manovre dinamiche, in altri termini muovendo il paziente come quando cammina”.
Questo particolare tipo di esame, in ortostasi dinamica, si distingue dal tradizionale e comune esame standard che ci può solo fornire sostanzialmente due tipi di informazioni:
1) pervietà delle vene studiate, cioè presenza o meno di trombi occludenti.
2) continenza degli apparati valvolari del sistema venoso profondo e dei punti di comunicazione tra circolo superficiale e profondo.
Nella cartografia dinamica invece si descrive il modo (direzione), con cui il sangue circola nelle vene superficiali, sia negli assi safenici che nelle loro collaterali; ciò è importante perché assai raramente (2% dei casi), le safene sono varicose (ammalate) , poiché la natura si è anche preoccupata di proteggerle con una spessa guaina, una “calza naturale”, costituita dallo sdoppiamento della fascia superficiale.
Sulla base del marcaggio è possibile personalizzare la terapia (sclerosante o chirurgica) per quel paziente, a la charte, cioè intervenendo con tecniche mirate su quel particolare circolo patologico.
La chirurgia che prediligo non è quella ablativa (stripping) ma quella conservativa (si tratta di conservare gli assi safenici) ed emodinamica (perchè si creano sistemi venosi drenanti che non devono trombizzare), sicuramente mini-invasiva , eseguibile ambulatoriamente in anestesia locale, senza degenza né inutili immobilizzazioni post-chirurgiche.
Obiettivo principe di questa terapia è la cura del circolo venoso senza mutilazioni ( evitando l’asportazione di segmenti venosi sani, preziosi per eventuali future esigenze di by-pass arteriosi ) ed ottenere conseguentemente anche scopi estetici.
Per dirla con le parole del mio maestro Prof. Claude Franceschi di Parigi è bene fare sulle vene poco, il meno possibile, e nei punti chiave per ottenere il miglior risultato funzionale oltre che estetico.
Nel realizzare la tecnica più consona al singolo quadro morboso, spiegando al paziente vantaggi e svantaggi delle singole metodiche, ricordo che la terapia attiva ( chirurgica ) blocca le varici, consente di salvaguardare la funzionalità del residuo circolo venoso, ma non può far guarire definitivamente dalla patologia varicosa che purtroppo è genetica ed evolutiva.
Nonostante, ancora oggi , taluno affermi che la possibilità di recidiva è minore quanto più radicale sia stata l’exeresi chirurgica ( !!!! ), non ravviso la necessità di curare la carie dentaria con l’avulsione del dente!!.